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Povertà educativa o dell’incapacità di trovare una via d’uscita.

In una definizione dell’osservatorio Openopolis la povertà educativa è la privazione del diritto di apprendere, formarsi, sviluppare capacità e competenze, coltivare le proprie aspirazioni e talenti. L’asserzione delinea un ragionamento che va oltre la scuola e le sue responsabilità. Se è vero che molta dell’educazione si fa all'interno delle mura scolastiche è altrettanto vero che queste non sono il solo luogo che ne è appannaggio perché la parola educazione ha un significato ampio che non concerne solo l’istruzione in senso stretto. Educazione è un concetto che nel suo intero abbraccia sia la cultura sia la capacità di comprendere l’importanza di quest’ultima. È qui, in questa parte, che secondo me si gioca la partita: capire l’importanza del sapere è determinante perché si scongiuri la caduta nella povertà educativa. Se la famiglia, il gruppo sociale di riferimento (sostanzialmente i nuclei amicali e parentali) e la società tutta non creano i presupposti affinché l’individuo giovane ritenga importante, quando non necessario, formarsi e crescere culturalmente, a nulla possono servire gli sforzi della scuola per instillare nei ragazzi il sacro fuoco della conoscenza. In Italia il 40 % della popolazione non ha un diploma di scuola superiore, 22 milioni di persone circa, di queste, 15 milioni o ha la sola licenza elementare o nessun diploma. Direi che per il Paese dove già Dante Alighieri scrisse la Commedia in una lingua comprensibile ai più (mentre in Inghilterra per leggere Shakespeare 300 anni dopo faticavano molto anche i più colti), è un poco invidiabile primato. Si assiste, oggi più di sempre, allo svilimento di quelli che sono i valori fondanti di ogni civiltà: il rispetto per il sapere e per ciò che comporta ovvero la capacità di ragionare in maniera fluida. Ed è qui che poi il sistema della miseria sociale inizia a girare. L’inabilità a comprendere le sfumature di un discorso produce persone incapaci di facilitare il pensiero, di renderlo elastico, creando così menti “àut àut”, binarie, con due sole facce. Il ragionamento invece ha bisogno di essere mobile affinché, laddove non si arriva con il sapere diretto, ci si possa arrivare con i legami del pensiero.


Quali sono i danni che un tale modo di pensare può generare? Intanto una forte fragilità sociale. Gli individui privi di fluidità intellettuale quando cadono si risollevano con difficoltà; succede perché se si è abituati a percorrere un’unica strada senza avere mai avuto la curiosità o la capacità di scoprirne altre, al momento che su quella via ci sia un’interruzione, chi la percorre non avrà un’alternativa, tenterà di sormontare l’ostacolo, profonderà energie nei tentativi di scavalcamento ma, se le forze non gli consentiranno di trarsi d’impaccio si troverà incapace di proseguire e sarà perduto. Succede, per esempio, a chi perde il lavoro in età non più giovanissima, (pensiamo ai cinquantenni che si trovano licenziati da un giorno all'altro), se non avrà la capacità di reinventarsi e di rientrare nel mondo del lavoro da un’altra porta, si troverà in guai seri. Ci sarà anche chi non tenterà neppure. Questi individui se giovani si chiamano neet, un acronimo inglese che significa non essere né in formazione né impegnati in una occupazione, se adulti si chiamano inattivi. Ma l’incapacità a trovare una via d’uscita non colpisce solo chi non ha un lavoro o lo ha perso; anche chi si trova in situazioni difficili e improvvise, ad esempio a causa del sopraggiungere della separazione dal coniuge, avrà difficoltà a comprendere il contesto, crearsi delle soluzioni per riprendersi e proseguire il cammino. Qui la rarefazione dell’insegnamento arriva alle conseguenze estreme; dietro a quasi tutti i tantissimi femminicidi, c’è un uomo che ha ricevuto un’educazione binaria, basata sui due ruoli stereotipati uomo / donna e quando la relazione finisce perché lei vuole proseguire la vita da sola, lui non riesce a stare al passo con la situazione, il meccanismo si inceppa e nel pieno del delirio di impotenza di fronte a una situazione che non era stata prevista da chi lo ha educato, la sua mano si arma. Trovare altre vie di uscita: è questo il compito della ricchezza educativa che in moltissimi casi salverebbe vite umane dalla miseria e dalla morte.


E allora chiudo questa breve riflessione ribadendo la mia idea che per rallentare il decadimento culturale della società italiana, sarebbe necessario che, prima degli insegnanti che comunque dovranno poi fare la loro parte con dedizione, tutti coloro che svolgono un lavoro educativo a monte, siano essi i nuclei familiari, gli operatori socio-culturali, i media, i social media (oggi dei veri e propri influencers delle giovani generazioni), capiscano l’importanza del pensiero fluido che scaturisce da una acculturazione rilevante, affinché i giovani possano beneficiare di strumenti atti a scongiurare loro il doversi fermare di fronte alle inevitabili asperità della vita.

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