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Confessioni di un (ex) alunno lento.

Aggiornamento: 27 mag 2019

Non sono un insegnante ma…

l’essere stato inserito come scrittore all'interno del blog, mi ha fornito la scusa per trasformare un commento, anzi, una domanda a margine di uno scritto di Giuliana, in un testo un po’ più lungo, che contiene sempre alcune domande ma allunga il presupposto del quesito e diviene, addirittura, una confessione. L’argomento che avevo commentato riguardava i B.E.S, i bisogni educativi speciali di cui oggi si fa un gran parlare e che, insieme al D.S.A., formano un tema che sento molto dibattuto, tanto da arrivare alle orecchie di chi, come me, insegnante non è pur occupandomi per mestiere di sostegno sociale. L’impressione che si ha qui all'esterno è quella di un uso molto facile dei due acronimi, quasi a sembrare una maniera per creare due livelli: quello “normale”, formato da quegli alunni che seguono regolarmente e quello lento, di chi non sta al passo, e quindi ha bisogno di un sostegno aggiuntivo per tentare di non rimanere indietro. Per il sostegno aggiuntivo bisogna diagnosticare un D.S.A. e poi attivare i B.E.S se non sbaglio. Ora la domanda: quello che percepisco da racconti e situazioni di cui sono venuto a conoscenza è la realtà? spero di no. Spero di no perché se così fosse molti bambini sarebbero relegati, loro malgrado e in modo a loro incomprensibile, in una dimensione di anormalità, scoprirebbero cioè in modo traumatico che nel mondo ci sono i normali, coloro che si uniformano, e gli anormali, coloro che percorrono altre strade oppure, pur percorrendo la stessa strada dei normali, lo fanno più lentamente. E che i normali sono socialmente accettati e gli anormali no.

E chi decide se si è normali o anormali? Generalmente la collettività, che detta degli standard culturali e sociali a cui o ti uniformi o sei fuori. Ed è qui, per me, il primo monte da scalare. Cercare di non catalogare il mondo in bianchi e neri, parafrasando Don Milani.



Io sono stato un alunno lento; ai miei tempi si diceva svogliato, oppure intelligente ma non si applica. Ho vissuto il periodo della scuola come un dovere ma non sono mai stato in grado di uniformarmi al ritmo generale. Sono sonoramente bocciato e, in terza media, mi fu consigliato l’istituto Professionale così che potessi essere avviato al lavoro; consiglio che accettai di buon grado. E l’ho fatto. Ho frequentato il Marconi. Anche quella scuola con leggerezza, lentezza e un pizzico di trascuratezza fin quando la scintilla scattò, in quarta superiore, e trovai la mia strada. O meglio, la mia strada del momento, perché io di strade ne ho battute molte. Intendiamoci, sempre percorse lentamente, perché il mio ritmo è quello. Perché mi piace intervallare la vita con puntate su viottoli differenti, scoprire, curiosare. Inevitabilmente a laurearmi ci ho messo 9 anni, complice anche un lavoro che fu l’inizio di ciò che faccio oggi. Durante gli studi letterari sono arrivate le esperienze nel Sociale, che non mi hanno fatto perdere tempo ma arricchito.

E allora, alla luce di questa mia breve confessione sul mio periodo scolastico mi chiedo: è giusto che i bambini più lenti oggi vengano caratterizzati e stigmatizzati come bambini con problemi? fatti salvi naturalmente quelli con reali difficoltà cognitive, possibile che la Scuola, intesa come sistema, non riesca a fare i conti con ritmi diversi? è così necessario far correre chi non riesce con il rischio di farlo cadere e mortificarsi? Non sarebbe meglio lasciarlo camminare ed evitargli così di sentirsi inadeguato alla vita, con il bagaglio di frustrazioni che poi si porterà dietro?

Con questa salva di domande a cui spero di ricevere risposte e stimoli ma soprattutto smentite da chi il sistema scuola lo vive da attore protagonista, chiudo questo mio primo scritto in qualità di scrittore, appellativo forse esagerato ma che per ora mi tengo stretto.

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